Corte Costituzionale dichiara legittimi costi minimi autotrasporto
Una nuova sentenza emessa il 2 marzo 2018 dalla Corte Costituzionale ha respinto un ricorso presentato dal Tribunale di Lucca che chiedeva una pronuncia d’illegittimità della norma che istituisce i costi minimi d’esercizio nel trasporto su strada delle merci.
I costi minimi dell’autotrasporto sono tornati alla Corte Costituzionale, che nella sentenza numero 47 del 2 marzo 2018 li ha dichiarati legittimi. In particolare, i giudici affermano che l’articolo 8-bis della Legge 133/2008 non contrasta i principi della Costituzione. Questa vicenda parte da un ricorso presentato dal Tribunale di Lucca nel febbraio 2017, nell’ambito di una causa in cui la società di autotrasporto GFM Trasporti ha chiesto al suo committente Ondulati Giusti il pagamento di 261.906,70 euro come differenza tra la tariffa concordata alla firma del contratto di autotrasporto e quanto previsto come costo minimo per la sicurezza dall’articolo 83-bis.
Dopo avere ripercorso la complessa vicenda legislativa e giudiziaria (che comprende anche due sentenze della Corte di Giustizia Europea) delle vecchie tariffe a forcella, diventate poi costi minimi di sicurezza e infine costi minimi d’esercizio dell’autotrasporto, i giudici costituzionali entrano nel vivo della questione, rigettando il ricorso del Tribunale e, quindi, ritenendo legittimi dal punto di vista costituzionale i commi 1, 2, 3, 6, 7, 8, 10 e 11 dell’articolo 83-Bis.
A sostegno della loro decisione, i giudici costituzionali citano il principio – previsto sia dalla normativa comunitaria sia dalla Costituzione – secondo cui un interesse di ordine generale può costituire una limitazione alla libera contrattazione tra le parti, principio che sta alla base dei costi minimi di sicurezza e che viene invocato da anni dalle associazioni degli autotrasportatori.
“Più volte la giurisprudenza comunitaria avrebbe avuto modo di affermare che sono compatibili con le norme comunitarie in materia di libertà di stabilimento e di libertà di prestazioni dei servizi, di libertà di concorrenza e di trasporti, i provvedimenti legislativi e amministrativi, direttamente riferibili allo Stato membro, che, per ragioni di interesse generale, introducono tariffe minime e/o massime”, scrivono i giudici nella sentenza per quanto riguarda il rispetto delle norme comunitarie.
Sul rispetto della Costituzione, il ricorso del Tribunale di Lucca invoca il contrasto dell’articolo 81-bis all’articolo 41 della Costituzione, ossia quello che stabilisce la libertà dell’iniziativa privata. A tale proposito i giudici costituzionali controbattono che “il principio di libertà di iniziativa economica privata deve essere bilanciato da contrapposti interessi di utilità sociale, purché l’individuazione degli stessi non appaia arbitraria e gli interventi del legislatore non prevedano misure palesemente incongrue”. In tale bilanciamento, “assumerebbe rilevanza l’interesse pubblico alla sicurezza della circolazione stradale, che giustificherebbe la limitazione della libertà negoziale delle parti, allo scopo di garantire che il corrispettivo del vettore sia tale da consentire almeno la copertura dei costi minimi di esercizio”.
Sull’opposizione secondo cui i costi minimi non garantiscono il rispetto delle norme di sicurezza, i giudici affermano che invece sono “un intervento regolatorio ex ante, perfettamente compatibile – ed anzi complementare – rispetto alle altre disposizioni legislative, richiamate nell’ordinanza di rimessione, che disciplinano l’intervento ex post, finalizzato a reprimere la violazione delle regole di sicurezza”. E precisano che “l’osservanza di una regola può essere assicurata non solo attraverso norme repressivo-sanzionatorie, ma anche mediante norme dirette a prevenire la violazione, rimuovendo o quanto meno riducendo l’interesse a commetterla”.
Come ulteriore spiegazione, la sentenza afferma che “peraltro, la fissazione in via amministrativa di costi minimi, la cui copertura deve essere garantita dal corrispettivo, non invaderebbe tutto lo spazio negoziale a disposizione delle parti, riguardando solo i costi incomprimibili ed essenziali per la sicurezza della circolazione stradale. Rimarrebbero, invece, alla libera contrattazione, e quindi alla concorrenza, tutte le altre voci che incidono sulla determinazione del corrispettivo, ivi compreso il margine di profitto. Si tratterebbe di un regime non assimilabile ad una vera e propria regolazione tariffaria (di cui, anzi costituirebbe il superamento), la cui incidenza sulla libertà negoziale delle parti sarebbe alquanto ridotta ed ampiamente giustificata dalle descritte esigenze di sicurezza, nel pieno rispetto del principio di proporzionalità”.