11 Dicembre 2024
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Autotrasporto: dal 2009 ad oggi 21000 attività in meno nel settore 

Dall’inizio della crisi (2009) a oggi si contano quasi 21.000 attività in meno nel settore dell’autotrasporto, lasciando senza un’occupazione almeno 70mila addetti. Assieme alle costruzioni, l’autotrasporto ha subito i contraccolpi più negativi di questo momento così difficile: il crollo della domanda, i costi di esercizio record, la concorrenza sleale praticata dai vettori stranieri e i pagamenti sempre più dilatati nel tempo ne hanno fiaccato la tenuta. Un mix di criticità che, da quest’oggi, ha fatto scattare lo stato di agitazione della categoria. Quello del trasporto su strada è un settore molto importante per l’economia del nostro paese; la CGIA ricorda che le 84.500 imprese del settore distribuiscono l’85,4 per cento delle merci che viaggiano in Italia, contro una media dell’Ue a 28 di 10 punti inferiore. E a queste 84.500 realtà presenti sul territorio vanno aggiunte almeno altre 40.000 imprese prive di automezzi che svolgono quasi esclusivamente attività di intermediazione avvalendosi sempre più spesso a vettori stranieri.

“Abbiamo i costi di esercizio più elevati d’Europa – sottolinea il coordinatore dell’Ufficio studi Paolo Zabeo – a causa di troppe tasse e di un deficit infrastrutturale che costa all’intero sistema economico oltre 40 miliardi di euro l’anno. Senza contare che il settore è costretto a sostenere delle spese ingiustificate per la copertura assicurativa degli automezzi, per l’acquisto del gasolio e per i pedaggi autostradali. Tutto ciò si è tradotto in un dumping molto pericoloso, in particolar modo per le aziende ubicate nelle aree di confine che subiscono la concorrenza proveniente dai vettori dell’Est Europa”. Questi ultimi, infatti, hanno imposto una “guerra” dei prezzi che sta spingendo fuori mercato molti piccoli padroncini. Prosegue Zabeo: “Pur di lavorare, sempre più frequentemente i nostri viaggiano sottocosto con tariffe che mediamente si aggirano attorno a 1,10-1,20 euro al chilometro, mentre i trasportatori dell’Est – spesso in violazione delle norme sui tempi di guida, delle disposizioni sul cabotaggio e con costi fissi molto inferiori – corrono a 80-90 centesimi. E’ evidente che con questa disparità di prezzo molti autotrasportatori italiani sono stati costretti a gettare la spugna”.

Purtroppo, tutte le realtà territoriali hanno subito una drastica diminuzione delle aziende. “Non è un caso che la regione più colpita – esordisce il Segretario della Cgia Renato Mason – sia stata il Friuli Venezia Giulia. Dal 2009 alla fine del 2016 il numero delle imprese attive è diminuito del 27 per cento. Altrettanto preoccupante è stata le contrazione del 25,8 per cento registrata in Piemonte, del 24,8 per cento avvenuta in Toscana e del 24,7 per cento maturata in Liguria. Anche tra il 2015 e il 2016 l’emorragia non si è fermata. Tutte le regioni presentano un segno meno. A fronte di una diminuzione complessiva di 2.055 imprese a livello nazionale, il Friuli Venezia Giulia, il Piemonte e la Liguria si posizionano nei primi posti della graduatoria della riduzione del numero di imprese espressa in termini percentuali”.

Abbiamo i costi di esercizio più alti d’Europa. Come abbiamo sottolineato più sopra, le ragioni dello stato di agonia in cui versa l’autotrasporto sono molteplici. La voce costi, ovviamente, è tra le più importanti. Nel 2013, secondo l’ultima analisi elaborata dal Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, l’Italia presentava il costo di esercizio per chilometro di un autoarticolato a 5 assi più alto d’Europa. Se da noi era pari a 1,60 euro/Km, in Austria era di 1,57 euro, in Germania di 1,55, in Francia di 1,52, in Slovenia di 1,26, in Spagna di 1,22, in Ungheria di 1,08, in Polonia di 1,07 e in Romania addirittura di 0,93 euro. Tra i costi che incidono maggiormente sul bilancio di un’attività di autotrasporto c’è il prezzo del gasolio (voce che mediamente incide per il 30 per cento circa del fatturato), che in Italia è il più elevato di tutta l’area euro. Se da noi il prezzo alla pompa è attualmente di 1,402 euro/litro, la media nell’area euro si attesta su 1,230 euro/litro: 17,2 centesimi in meno che da noi. Anche i pedaggi autostradali hanno subito dei rincari del tutto ingiustificati. Se tra il 2009 e il 2016 l’inflazione è aumentata del 9 per cento, i pedaggi, invece, sono cresciuti del 30,4 percento: addirittura 3 volte tanto.

I controlli su strada riguardano soprattutto i mezzi italiani. Sebbene l’Italia, verso la fine del 2016, abbia aggiornato la normativa contro l’elusione di molti istituti contrattuali praticata soprattutto dalle aziende dell’Est Europa (distacco, somministrazione transnazionale, etc.), gli ultimi dati disponibili indicano che l’86,3 per cento dei 330.000 controlli su strada effettuati dalla Polizia stradale nel 2015 ha interessato mezzi italiani, il 12,3 per cento veicoli di nazionalità europea e un altro 1,4 per cento Tir residenti in paesi extra Ue. Se teniamo conto che le principali infrazioni contestate dalla Polizia stradale riguardano il trasporto abusivo, il superamento dei limiti di velocità e il mancato rispetto dei tempi di guida/riposo, in tutti e 3 i casi emerge che l’incidenza percentuale di queste violazioni sul totale di quelle comminate per nazionalità è molto elevata tra gli stranieri e nettamente più contenuta tra gli italiani. Ciò vuol dire che tra i non italiani la regolarità e il rispetto delle attività di autotrasporto è nettamente inferiore a quella dei nostri camionisti. “In molte regioni del Nord – conclude Zabeo – i mezzi in circolazione con targa straniera sfiorano ormai il 50 per cento del totale. Poichè una buona parte opera in palese violazione della normativa comunitaria sul cabotaggio stradale, auspichiamo che i controlli si concentrino sempre più su queste ultime attività”.

Il calo della domanda e i pagamenti che non arrivano mai. La crisi di questi ultimi anni ha contratto la domanda aggregata e conseguentemente anche la produzione industriale. L’effetto di tutto ciò ha dato origine a una forte riduzione delle merci trasportate. Secondo una nostra elaborazione su dati Aiscat, tra il 2009 (primo anno nero per i flussi) e il 2015 il traffico di veicoli pesanti nelle autostrade italiane è sceso ancora: di oltre 327 milioni di veicoli/Km (-1,8 per cento). A partire dal 2014, comunque, c’è stata una prima inversione di tendenza che si è consolidata nel 2016. Nei primi 9 mesi dell’anno scorso rispetto allo stesso periodo del 2015, infatti, è stato registrato un aumento del traffico pesante del 4 per cento. Nonostante qualche timido segnale di ripresa, rimane ancora un grosso problema farsi pagare dai committenti entro tempi ragionevolmente brevi. Se le disposizioni europee stabiliscono che nelle transazioni commerciali tra imprese private il pagamento deve avvenire entro 60 giorni dall’emissione della fattura (o fino a 90 giorni se c’è l’accordo tra entrambe le parti), quando va bene i trasportatori italiani vengono pagati a 120/150 giorni. Una situazione che ha messo in seria difficoltà la stragrande maggioranza dei padroncini da sempre sottocapitalizzata e a corto di liquidità.

I numeri: un settore fatto di micro imprese. Gli ultimi dati disponibili sono riferiti al 2014 e indicano in oltre 43 miliardi di euro il fatturato del settore mentre il valore aggiunto è di 11,1 miliardi di euro. Gli addetti sfiorano quota 300.000: 76.000 circa sono titolari e/o soci d’azienda, poco più di 221.000 sono i dipendenti. Oltre il 90 per cento delle imprese dell’autotrasporto si concentra nella classe fino a 9 addetti; la quota sale al 97 per cento circa per la classe sotto i 20 addetti. Le aziende con meno di 9 addetti danno lavoro al 45 per cento circa dell’occupazione complessiva; la quota sale al 62 per cento per le imprese con meno di 20 addetti

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