Crisi Suez: Quale impatto sul commercio internazionale per le imprese italiane?
Una compiuta quantificazione dei maggiori costi per il trasporto dei container e dell’allungamento dei tempi di consegna dovuto alle (più lunghe) rotte alternative sulle attività di import-export delle imprese italiane è ancora in corso.
Da una parte, infatti, esperti del Kiel Institute ricordano che “La situazione odierna non è paragonabile ai tempi dell’incidente Evergiven nel Canale di Suez e alla pandemia del coronavirus3”; dall’altra, la citata analisi sull’elasticità dell’interscambio commerciale alla distanza-tempo del trasporto indica che le imprese più piccole e meno strutturate (che in Italia rappresentano una gran parte del totale, anche tra le imprese esportatrici) avranno più difficoltà ad assorbire i maggiori costi e usciranno dal mercato.
Lato export, guardando ai primi 15 paesi destinazione delle nostre esportazioni4, solo quelle verso la Cina (7° posizione, 3,2% del nostro export) e il Giappone (15° posizione, 1,6% del nostro export) possono passare per il canale di Suez.
La stragrande maggioranza delle nostre esportazioni va verso altri paesi Europei e verso gli Stati Uniti.
I problemi maggiori, invece, stanno emergendo sul lato import.
Infatti, guardando ai primi 15 paesi di origine delle nostre importazioni5, sono ancora solo 2 i paesi potenzialmente coinvolti: sempre la Cina (2° posizione, 8% del nostro import) e l’India (14° posizione, 1,6% del nostro import), ma i volumi sono quasi doppi, con Banca d’Italia che ha stimato il trasporto navale attraverso il Canale di Suez pari al 16% delle importazioni italiane di beni in valore.
Inoltre, come già cominciano a riferire alcune imprese di AICE-Confcommercio, il mancato arrivo delle merci in import spesso impatta su un ben più elevato flusso di export verso l’Europa o gli USA (tipico da paese trasformatore come l’Italia) e, in molti casi, espone le aziende italiane a forti penali in quanto fornitori di una filiera.
Oltre alla già citata filiera dell’automotive, anche il settore moda soffre di rallentamenti nell’import, principalmente fibre, tessuti, componenti (come le zip) che arrivano da Giappone, India e Cina e semilavorati/capi confezionati dal Sud est asiatico. Stessa situazione per alcuni comparti dell’alimentare (ad esempio, riso, oli vegetali, tè e caffè), duramente colpiti dalla riduzione di traffico in arrivo dal Canale di Suez.